Siti d’informazione on line, blog e quel che è peggio quotidiani locali riportano una notizia che fa il giro del web, complice il sistema dei social network, dove a farla da padrone è il titolo più che il contenuto di qualsivoglia notizia. Così, grazie alla noncuranza di chi condivide senza prima leggere, o meglio legge senza riflettere, la Corte europea dei diritti dell’uomo proclama sentenze del tenore “IL CANONE RAI NON DEVE ESSERE PAGATO”. I riferimenti della sentenza, le motivazioni, il caso di specie, non vengono riportati e non è dato saperli.
È chiaro che viviamo in un Paese dove ancora una volta la maggioranza invoca la “legge”, quella legge che solo una minoranza conosce, e l’ordinamento giuridico – che stratificandosi nel tempo regola sempre più minuziosamente ogni aspetto della vita umana – si erge ad appannaggio di pochi e a grande mistero per molti, quei molti, che inconsapevolmente se ne sentono padroni e si accingono addirittura a criticarlo oppure a sentirsene (questa volta forse a ragione) vittime.
- Perché paghiamo il canone RAI e cos’è?
Il canone RAI si deve al Regio Decreto n. 246 del 1938 che disciplina gli abbonamenti alle audio-audizioni.
Il primo articolo recita al suo primo comma che “Chiunque detenga uno o più apparecchi atti od adattabili alla ricezione delle radioaudizioni è obbligato al pagamento del canone di abbonamento, giusta le norme di cui al presente decreto”.
Sono pertanto obbligati al pagamento tutti coloro che detengono (si badi bene non si parla di proprietà o di possesso ma di detenzione) un apparecchio, per il solo fatto della detenzione, a prescindere da qualsivoglia collegamento con l’emittente.
Stando a tale disposizione emerge chiaramente che l’abbonamento, nonostante il termine improprio, non viene corrisposto per vedere i programmi RAI, ma si fonda sulla detenzione dell’apparecchio, trattasi quindi di un tributo.
Ora, il restante corpo normativo del citato R.D. è stato modificato dal susseguirsi di successivi Decreti Ministeriali, tra cui il D.M. del 20 dicembre 2012, a cui si fa riferimento a titolo esemplificativo, che va ad adeguare i canoni di abbonamento.
L’art.5, comma 2 del succitato Decreto dispone che “gli utenti hanno facolta’ di disdire il proprio abbonamento nei termini e secondo le modalita’ di cui all’art. 2 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 31 dicembre 1947, n.1542”. Nonostante una ricerca non è stato possibile rinvenire il testo a cui rinvia il D.M. di cui sopra. Tuttavia dal sito stesso della RAI, che si riporta al R.D. del 38, si rinvengono le modalità di disdetta e le condizioni.
Per non pagare il canone sostanzialmente non bisogna avere più la detenzione di un televisore e pertanto le condizioni al verificarsi del quale il tributo non è dovuto sono:
a) cessione di tutti gli apparecchi detenuti con comunicazione del soggetto a cui si cedono all’Agenzia delle Entrate;
b) comunicazione all’Agenzia delle Entrate con cui s’informa di non detenere alcun apparecchio (rottamazione, furto, incendio ecc…);
c) nel caso di disdetta senza volontà di cedere l’apparecchio, quest’ultima deve essere corredata dalla richiesta di suggellamento che comporterà l’inutilizzabilità degli apparecchi mediante la loro chiusura generalmente in involucri.
Quindi, le rimostranze di coloro che ritengono di non dover pagare in quanto non vogliono usufruire delle trasmissioni RAI non trovano conforto nella legge.
Il canone o abbonamento, nonostante il termine utilizzato, è di fatto un tributo per la detenzione di un apparecchio e l’unico modo di sottrarsi ad esso è non averne uno.
- Cosa s’intende per apparecchio?
Gli apparecchi per la cui detenzione deve pagarsi il canone RAI sono quelli “atti o adattabili alla ricezione delle radioaudizioni”.
Il R.D. elaborato nell’ormai lontano 1938 non consente di cogliere con chiarezza il suo ambito di applicazione, posta l’evoluzione tecnologica che ha investito la società. Pertanto ai fini di delineare la sua esatta portata applicativa si deve rinviare alla nota dell’Agenzia delle Entrate del dicembre 2012, con la quale si chiarisce che “ la normativa in esame si riferisce al servizio di radiodiffusione e, pertanto, non include altre forme di distribuzione audio-video basate su portanti fisici diversi da quello radio”. Si escludono pertanto le WEB radio e le WEB TV. A titolo esemplificativo la nota riporta anche una tabella esplicativa a cui si rinvia.
- Se è un tributo per la detenzione perché si parla di RAI?
Ora, il canone RAI è un tributo che ha una determinata funzione: finanziare parzialmente il servizio pubblico di radio diffusione. Tale funzione viene ribadita dal Governo in una recente pronuncia della Corte EDU, che contrariamente alle affermazioni riportate dagli articoli-bufala, ritiene legittimo il pagamento del canone.
Nella pronuncia Faccio c/Italia, il ricorrente presenta richiesta di disdetta dall’abbonamento RAI e pertanto viene sottoposto alla suggellazione del proprio televisore. Successivamente ricorre alla Corte di Strasburgo lamentando la violazione del diritto a ricevere informazioni, nonché del diritto al rispetto della vita privata e familiare, in quanto la suggellazione del televisore non rende lo stesso inutilizzabile solo per la visione dei programmi RAI, ma anche per la visione di altri programmi per cui il canone non è dovuto. Lamenta, altresì, la violazione del diritto al libero godimento della proprietà privata che può essere compresso solo per motivi d’interesse pubblico.
L’Italia si difende argomentando che se è vero che la suggellazione rende l’apparecchio inutilizzabile per la visualizzazione di tutti i programmi televisivi, è d’altra pare vero che tale limitazione è proporzionale allo scopo perseguito dallo Stato, di interesse pubblico, vale a dire il finanziamento parziale del servizio pubblico di radio diffusione.
Sostanzialmente l’Italia difende il valore fiscale del canone RAI quale tassa per la detenzione di un apparecchio in grado di ricevere tutti i programmi e che è servente a finanziare il servizio pubblico di radiodiffusione e pertanto meritevole di tutela in quanto votato alla soddisfazione di un interesse pubblico.
La Corte accogliendo tali argomentazioni spiega che la suggellazione altro non è se non una misura per scoraggiare i contribuenti dal mancato versamento di un tributo e, pertanto, appare proporzionale ai fini della soddisfazione di un interesse pubblico, rectius l’informazione pubblica, che in parte viene garantita attraverso il pagamento di un tributo per la detenzione di un televisore.
Il canone non si paga per vedere i programmi RAI, ma perché si possiede un televisore.
Tale tributo di “detenzione” si fonda sulla necessità di finanziare il servizio d’informazione pubblica.
Con il presente scritto s’intende solo fare chiarezza sul cosa sia il canone Rai e sul perché non può non essere pagato.
L’unico modo per non pagare il canone è di fatto non detenere un televisore.
Certo è, che si può discutere sulla opportunità odierna del suo essere alla luce dei recenti cambiamenti in campo mediatico. Oggi abbiamo diverse emittenti televisive che si sostengono attraverso gli introiti pubblicitari oppure attraverso il pagamento da parte degli utenti di un abbonamento.
Il servizio d’informazione pubblica (a prescindere da giudizi in ordine alla sua qualità) è di naturale importanza e quindi si giustifica in parte il contributo di ognuno di noi al suo mantenimento, ma d’altra parte è lecito chiedersi se ancora vi sia l’esigenza di un tributo a fronte di forti introiti derivanti dalla pubblicità. Di fatto il servizio pubblico si comporta e agisce come il privato sul mercato, quindi ci si chiede se è ancora necessario il canone. E ci si chiede perché le pubblicità che ricordano di pagarlo vantano la qualità dei loro programmi se quest’ultimo non viene pagato per la loro visualizzazione ma per il solo fatto di possedere un bene …
Tanti interrogativi provenienti da tutti i cittadini che sentono come ingiusto il pagamento di un tributo meritano una risposta.
Quello che si deve chiedere a coloro che amministrano questo Paese in nostra rappresentanza è di riflettere sull’odierna opportunità e sull’odierna ratio di un tributo nato nel lontano 1938.
Alessandra Grici
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Nota Agenzia Entrate
D.M.
Faccio c/Italia